Jean Vanier

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“GESÙ MI HA CONDOTTO VERSO PERSONE CON HANDICAP MENTALE. LORO MI HANNO CHIAMATO A PRENDERE UN’ALTRA STRADA, QUELLA DELLA TENEREZZA, DELL’AMORE E DELLA COMUNIONE. MI HANNO INSEGNATO A ENTRARE NELLA FESTA. CONDIVIDENDO LA MIA VITA CON LORO, HO SCOPERTO CHE I POVERI CI EVANGELIZZANO PERCHÈ IN ESSI VIVE GESÙ.”

JEAN VANIER si è spento nella notte di martedì 7 maggio, dopo parecchi mesi di malattia, vissuta con un grande desiderio di vita, ma anche confrontandosi lucidamente nella fede con l’ombra della morte. Aveva scritto: «Nelle società odierne è impressionante il nesso esistente tra il rifiuto di guardare la morte in faccia e una grande paura della fecondità». Papà Jean, così lo chiamavano i suoi ragazzi, fondatore dell’Arca e di Fede e Luce aveva messo la debolezza al centro: l’amicizia con i poveri, i disabili, i feriti della vita. Aveva scelto la debolezza come modalità di presenza nei crocevia del mondo. Dice papà Jean: “Gesù mi ha condotto verso persone con handicap mentale. Loro mi hanno chiamato a prendere un’altra strada, quella della tenerezza, dell’amore e della comunione. Mi hanno insegnato a entrare nella festa. Condividendo la mia vita con loro, ho scoperto l’importanza dell’ascolto, della comunicazione e dunque del linguaggio verbale e non verbale. Non potevo dirigerli secondo le mie norme e le mie teorie, né trattarli unicamente come persone a cui insegnare. Mi chiedevano altro: l’amicizia. Ora, l’amicizia implica la comprensione. È necessario capire i loro bisogni profondi, direi, ascoltare il battito del loro cuore, sapere ciò che li aiuta a sbocciare, a trovare un senso alla loro vita, la fiducia in se stessi e una speranza.

Mi hanno introdotto nella terra dell’amore. Ma per vivere fedelmente quest’amore e questa comunione, avevo bisogno di un dono nuovo dello Spirito Santo. All’Arca, ho potuto accogliere la bellezza di Raphael e di Philippe, la purezza del loro cuore, la profondità delle loro sofferenze, la loro tenerezza e la loro fiducia. Il bambino nascosto in loro ha svegliato il bambino nascosto in me. Non assistere chi è fragile, ma ascoltare che cosa essi hanno da dire e da insegnarci. Perché le persone fragili sono le più essenziali. Ammetterlo non ci piace, ma tutti siamo fragili perché tutti siamo persone ferite. Non ci piace ammetterlo e oggi il mondo vuole farci credere il contrario, d’altra parte siamo immersi in una cultura della competitività, per la quale ogni persona che riesce è importante. Nella visione più comune, le persone disabili sono dei poveri di cui bisogna occuparsi. Esistono istituzioni caritatevoli per questo, e da un certo punto di vista è anche un bene. Ma si può pensare che le persone più fragili siano essenziali, che siano proprio loro a cambiarci? Il fondamento dell’Arca è che ciascuna persona è importante e va ascoltata. Esiste un’altra visione, in cui non si tratta di fare qualcosa per le persone disabili, ma sentire cosa hanno da dire. Si tratta di un capovolgimento radicale.

Così, quest’amico dei disabili, instancabile organizzatore della loro convivenza con gli altri, è stato un ascoltato testimone del Vangelo in tante occasioni. Nella debolezza, aveva trovato la chiave di lettura del Vangelo. Citando la “parabola del regno” di Matteo 25, scriveva: «Vivere con il povero è vivere con Gesù». «Gesù è il povero». Gioiva del messaggio centrale di papa Francesco sui poveri. Diceva Jean: «Voglio dire forte quanto amo papa Francesco! Per lui i poveri non sono degli assistiti, ma comunicano il Vangelo con la loro “forza” debole: il povero ha un potere misterioso nella sua debolezza, diventa capace di toccare i cuori induriti». In piena sintonia con Francesco, anni prima di questo pontificato, Jean affermava che «i poveri ci evangelizzano. Ecco perché sono il tesoro della Chiesa; i poveri sono un sacramento, perché in essi vive Gesù. E il fondatore dell’Arca ricordava che «il povero guarisce il cuore del ricco. Solo nell’amicizia con i poveri, il nostro mondo ricco potrà trovare la sua guarigione. Questa era anche la sua storia personale. La vita di Jean si era sviluppata nella costante ricerca dell’incontro con Gesù, come dichiarava con semplicità sorprendente.

In Italia, Fede e Luce è arrivata nel 1973 grazie all’incontro dei due fondatori, Jean e Marie Helene Mathieu con Suor Ida Maria e con Mariangela Bertolini, mamma di Maria Francesca, una bambina con una grave disabilità mentale. Oggi le comunità sono 60, sparse in diverse regioni italiane; Jean diceva: “Vorrei che fosse chiaro che i fondatori del movimento non siamo Marie Hélène ed io, ma Gesù. È Lui che ha voluto Fede e Luce a Lourdes nel 1971. (…) Oggi spetta a ciascuno di voi continuare a operare perché le nostre comunità siano belle e gioiose, perché le persone fragili e con disabilità siano al cuore della comunità e i genitori possano sentirsi sostenuti e confortati. Oggi, siete voi i fondatori e siete chiamati a essere fecondi perché tutti possano incontrare e vivere la comunità come luogo di unità e di pace, come luogo della festa e del perdono”. Nel suo ultimo messaggio, pochi giorni fa, Jean ha detto: “Sono profondamente in pace e pieno di fiducia, non sono sicuro di quale sarà il mio futuro, ma Dio è buono e qualunque cosa accada sarà il migliore; sono felice e ringrazio per ogni cosa. Il mio più profondo amore per ciascuno di voi”.